Il biondo nella storia
Il biondo nella storia
Già al principio dell’Impero Romano erano di moda grandi parrucche di colore biondo, fatte con capelli provenienti dalla Germania: Properzio imprecava contro di esse, mentre Ovidio ne consigliava l’uso.
Esisteva una lussuosa parrucca femminile cosparsa addirittura di polvere d’oro, chiamata “corymbium”.
Secondo Giovenale se ne serviva anche Messalina per nascondere i suoi capelli neri.
Ai tempi di Gian Galeazzo Sforza (seconda metà del Quattrocento) gli uomini ricorrevano a tinture per capelli per pura vanità e non per nascondere la canizie: il Duca stesso amava tingersi i capelli e alla sua corte si vedevano vari gentiluomini comparire con i capelli un giorno biondi e l’altro bruni.
Nel Cinquecento il biondo va molto di moda, specialmente a Venezia: infatti, tutte le fanciulle e le donne raffigurati dai pittori veneti del periodo (Tiziano, Veronese, Tintoretto) sono sempre bionde.
Per ottenere chiome dorate le Veneziane si esponevano al sole nelle terrazze sopra i tetti dei loro palazzi, avendo cura di coprire il viso per non abbronzarsi, e bagnavano più volte i capelli con lozioni schiarenti.
Ogni ricettario del XVI e XVII secolo dedicava una parte preponderante alla cura dei capelli, per renderli più belli e lucenti, per schiarirli o scurirli, o contro la loro caduta.
Il biondo cenere era il colore preferito dell’epoca e per ottenerli si ricorreva in gran parte a sostanze caustiche mescolate a coloranti vegetali.
In genere si bagnavano i capelli con una spugna imbevuta di acqua contenente miele, cera, zolfo, allume di rocca e urina.
Ancora nel Seicento le chiome bionde erano molto più apprezzate di quelle nere.
Le donne fiorentine usavano portare il parrucchino (“cerchietto”) di quel colore: la principessa medicea Anna Maria Luisa ne possedeva due.
La moda della parrucca, giunta in Italia dalla Francia intorno al 1665, sopperì dunque alla schiaritura artificiale e quando si cominciò a cospargere la capigliatura di polvere di Cipro o cipria (moda diffusa durante tutto il XVIII secolo fino alla Rivoluzione Francese), oltre a quella bianca si poteva scegliere nera, turchina, rosa e anche bionda.
A cura di: Viviana Troncatti
Laureata in Conservazione dei Beni Culturali all’Università di Udine, si è specializzata nella storia del tessuto e della moda lavorando come assistente museale alla Fondazione Antonio Ratti di Como e alle Civiche Collezioni Tessili del Comune di Genova.
Dal 2009 è il Conservatore del Museo del Merletto di Rapallo, dove allestisce mostre temporanee e propone conferenze dedicate alla storia del tessuto, del merletto e della moda.